Anna Bofill Levi (1944) |
Ta na sitàt* (2022) |
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per contralto, violino e pianoforte |
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Testo da La meglio gioventú (1954) |
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Davide Pitis (1964) |
Rosade* (2022) per voce e violino |
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Testo tratto da La nuova gioventú (1975) |
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Giorgio Colombo Taccani (1961) |
Ploja tai cunfíns* (2022) |
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per voce, violino e pianoforte |
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Testi da Poesie a Casarsa (1941-43) |
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Matteo D’Amico (1955) |
Suspir de me mari ta na rosa |
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(Sospiro di mia madre su una rosa) (2022) |
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lirica in lingua friulana su una poesia tratta dalla raccolta Poesie a Casarsa, 1941-43 |
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nuova versione* per contralto, violino e pianoforte tratta da Poesia in forma di rosa (2022) per soprano e orchestra |
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Stefano Procaccioli (1960) |
Cansion* (2022) per contralto, violino e pianoforte |
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Testo tratto da La nuova gioventú (1975) |
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Carlo Galante (1959) |
Ciant de li ciampanis* (2022) |
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per contralto, violino e pianoforte |
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Fabrizio de Rossi Re (1960) |
Epitaffio friulano per Pasolini (2022) per violino e pianoforte |
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liberamente ispirato a Il giorno della mia morte, tratto dalle Poesie a Casarsa (1941-43) |
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di Pier Paolo Pasolini in occasione dei 100 anni dalla nascita |
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Paolo Longo (1967) |
Herbarium – images pour PPP* (2022) per contralto, violino e pianoforte |
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Testo dell’autore, liberamente ispirato da alcune poesie in friulano di Pier Paolo Pasolini |
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*prima esecuzione assoluta
Testi di Pier Paolo Pasolini
Federica Cassati contralto, Verena Rojc violino, Adele D’Aronzo pianoforte
Nel complesso percorso personale e artistico di Pier Paolo Pasolini i luoghi in cui è vissuto costituiscono un elemento molto importante per lo sviluppo della poetica e del pensiero. La nascita a Bologna, il peregrinare nella giovinezza a Conegliano, a Belluno, nel Friuli, la maturità a Roma costituiscono solo alcune delle tappe che lo hanno portato ad assorbire l’ambiente circostante, nella forma di lingue, di culture popolari, di esperienze di vita. In un simile contesto, la poesia in friulano rappresenta una tappa significativa, che nel corso del tempo viene spesso associata all’infanzia e alle esperienze vissute nel periodo di permanenza nel Friuli. Sin dai primi anni Quaranta, con la raccolta Poesie a Casarsa (prima edizione del 1942), la scrittura in friulano ha scandito la vita di Pasolini e sarebbe stata ripresa nel tempo in alcuni altri lavori, come le raccolte La meglio gioventú (1954) e La nuova gioventú (1975).
Nella ricorrenza dei cento anni dalla nascita di Pasolini, Nuova Consonanza e l’Associazione Culturale TKE hanno coinvolto otto compositori con lo scopo di confrontarsi con alcuni di questi testi. Ne deriva una rilettura a più voci, filtrata con gli occhi e con la sensibilità del presente, che rievoca luoghi, temi ed emozioni e che allo stesso tempo pone ulteriori questioni, riguardanti ad esempio l’interiorità, la musica, la lingua, la narrazione. L’attenzione di Anna Bofill Levi si concentra sul rapporto tra la musica, la parola e la musicalità del friulano mentre al centro del lavoro di Giorgio Colombo Taccani si colloca la riflessione sul rapporto tra narratività poetica e struttura compositiva. Le parole di Pasolini sono state fonte di ispirazione per Fabrizio de Rossi Re e Matteo D’Amico: se il primo ha composto un epitaffio a partire da una suggestione suscitata dalla poesia Il giorno della mia morte, D’Amico si è soffermato sull’immagine della rosa e soprattutto sulla figura della madre a partire dalla poesia Suspir de me mari ta na rosa [Sospiro di mia madre su una rosa]. Anche Rosade di Davide Pitis muove da più immagini poetiche, che risultano da un lato fortemente contrastanti, ma allo stesso tempo più intime e introspettive. Il rapporto tra il Friuli e la dimensione affettiva, che viene condensata nella lingua, si ritrova nel lavoro di Stefano Procaccioli, alla base del quale vi è la riflessione sull’importanza della lingua acquisita con il fine dell’espressione personale e poetica. Con Paolo Longo entriamo nel merito del rapporto di Pasolini con la natura, la quale assume la forma del ricordo associato a esperienze vissute. Una simile associazione avviene con il suono delle campane, evocato dalla poesia Ciant da li ciampanis, scelta come spunto per l’omonimo lavoro di Carlo Galante.
Ta na sitàt é un omaggio a Pier Paolo Pasolini e al periodo di vita a Casarsa, il villaggio natale di sua madre dove lui trascorse tra il 1941 e il 1953 dei momenti molto importanti pieni di emozioni vitali ma anche con eventi strazianti come la morte del fratello. Lavorare con la lingua friulana e con la musicalità che ne fa Pasolini è una sfida. Ho cercato di rispettare la musica propria dei versi facendo sentire la loro cadenza in alcuni frammenti e in altri lavorando per fare emergere la forza vitale pasoliniana anche di fronte alla paura della morte.
Anna Bofill Levi
Epitaffio friulano per Pasolini
Il brano prende spunto dalla seguente poesia di Pier Paolo Pasolini (PASOLINI P.P., La meglio gioventú (1941-53), Parte prima, II, Suite furlana (1944-49), Danze, in: La nuova gioventú, Torino, Einaudi, 1975, pp. 65-6).
Il dí da la me muàrt
Ta na sitàt, Trièst o Udin,
ju par un viàl di tèjs,
di vierta, quan' ch'a múdin
il colòur li fuèjs,
i colarài muàrt
sot il soreli ch'al art biondu e alt
e i sierarài li sèjs,
lassànlu lusi, il sèil.
Sot di un tèj clípid di vert
i colarài tal neri
da la me muàrt ch'a dispièrt
i tèjs e il soreli.
I bièj zuvinús
a coraràn ta chè lus
ch'i ài pena pierdút,
svualànt fòur da li scuelis
cui ris tal sorneli.
Jo i sarài 'ciamò zòvin
cu na blusa clara
e i dols ciavièj ch'a plòvin
tal pòlvar amàr.
Sarài 'ciamò cialt
e un frut curínt pal sfalt clípit dal viàl
mi pojarà na man
tal grin di cristàl.
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Il giorno della mia morte
In una città, Trieste o Udine,
per un viale di tigli,
quando di primavera
le foglie mutano colore,
io cadrò morto
sotto il sole che arde, biondo e alto,
e chiuderò le ciglia
lasciando il cielo al suo splendore.
Sotto un tiglio tiepido di verde,
cadrò nel nero
della mia morte che disperde
i tigli e il sole.
I bei giovinetti
correranno in quella luce
che ho appena perduto,
volando fuori dalle scuole,
coi ricci sulla fronte.
Io sarò ancora giovane,
con una camicia chiara,
e coi dolci capelli che piovono
sull'amara polvere.
Sarò ancora caldo,
e un fanciullo correndo per l'asfalto tiepido del viale,
mi poserà una mano
sul grembo di cristallo. |
Ploja tai cunfíns
Mi sono accostato ai versi in friulano di Pasolini con rispettosa preoccupazione non solo per la loro potente bellezza ma anche per la narratività della maggior parte di queste poesie, aspetto non vicino alle mie ultime scelte volte a privilegiare testi privi di vera direzionalità. Per questo ho scelto tre poesie da Poesie a Casarsa (Fevrar, Li letanis dal biel fí (solo la seconda strofa) e Ploja tai cunfíns) caratterizzate in certo qual modo da una struttura geometrica, con una chiara simmetria fra un antecedente e un conseguente in tutti e tre i casi. Ancor più del solito ho rinunciato a strutturazioni formali a priori affidandomi al percorso e alle simmetrie dei versi, con ritorni di materiali per lo più letterali, intatti. Ho quindi steso le linee vocali, evitando quasi del tutto anche in questo caso predeterminazioni astratte e ricorrendo a scelte istintive, volte ad una gestione molto semplice della sillabazione per una franca comprensibilità del testo. Solo in seguito (e con rari adattamenti delle linee vocali) ho realizzato le due parti strumentali, ridotte nel secondo numero al solo violino. Anche la complessità esecutiva è stata tenuta sotto controllo, non certo per sfiducia verso le tre meravigliose interpreti quanto forse per bilanciare ed espiare alcuni eccessi passati.
Giorgio Colombo Taccani
Suspir de me mari ta na rosa
Il brano, presentato nel concerto in una nuova versione, deriva da un lavoro più ampio, intitolato Poesia in forma di rosa. Come spiega il compositore, quest’ultimo «riprende il titolo di una delle innumerevoli raccolte poetiche di Pier Paolo Pasolini, vuol provare a disegnare un percorso, uno dei tanti possibili, tra i diversi temi che il poeta ha attraversato lungo tutto l’arco della sua vicenda artistica. La ricorrente immagine della rosa ci guida in questo cammino, sposandosi innanzitutto alla figura della madre, oggetto di una devozione del tutto speciale, intatta nella sua innocenza, di fronte al figlio che ha compiuto il suo cammino nel mondo. È la rosa la protagonista della poesia in lingua friulana che apre la composizione, Suspir de me mari (Sospiro di mia madre), tratta dalle poesie giovanili del periodo di Casarsa».
Matteo D’Amico
Cansion
Ciò che mi ha sempre colpito di più in Pasolini è un aspetto che trovo profondamente umano: il suo portare continuamente alla superficie il conflitto tra la dimensione affettiva istintuale e quella logico razionale nel suo sofferto relazionarsi con il mondo che lo circonda, la lucidità con la quale si osserva e analizza mentre soffre la propria esistenza. Il suo complesso rapporto con il Friuli non sfuggirà a questa “macchina” che condurrà alla nota insanabile frattura. Illuminante riguardo agli obbiettivi letterari “friulani” di Pasolini è leggere, nell’Almanacchino al di qua dell’acqua" (Aprile 1944), come lui abbia da subito cercato di dare un senso razionalmente “alto” al suo istintuale amore per la regione materna, terra che sentiva carica di valori nella sua dimensione affettivamente idealizzata e che incarnava soprattutto nella sua parlata. Senso razionalmente alto, ma non razionalmente autoreferenziale. Trasformare ciò che viene ancora considerato dialetto in lingua, con gli strumenti della mente, con la scienza profonda posseduti, non è un obiettivo astratto fine a sé stesso, è uno strumento finalizzato all’espressione intima del poeta, è strettamente legato alla dimensione affettiva: «la lenga a sarès cussì un dialet seni e doprat par esprimi i sintimins pi als e segres dal cour»[1]. Trasformare un dialetto in una vera lingua per Pasolini è la via necessaria per dare ai poeti la possibilità concreta di esprimersi, perché «quant che un dialèt al ven lenga, ogni scritour al dopra che lenga a conforma da li so ideis, dal so carater, da li so bramis. Insoma ogni scritour al scrif e al compon in maniera diviersa e ognun al à il so «stil». Chel stil al è alc di interiour, platàt, privat, e, massime, individuai. Un stil a no ‘i è nè italian e nè todesc e nè furlan, al è di che! Poeta e basta»[2].
Stefano Procaccioli
Ciant da li ciampanis
Il breve e fascinosissimo testo pasoliniano Ciant da li ciampanis mi ha sempre attratto in maniera particolare sia come lettore sia come musicista. La mia predilezione di compositore forse è più semplice da spiegare: un testo pieno d’immagini, di echi sommessi come il risuonare lontano quasi immaginato delle campane, cuore immoto e arcano di una realtà umana e sociale che è, come le campane stesse, un ricordo, una fiaba (ma dolentissima)…
Trovare le figure musicali che alludessero al bisbiglio sospeso e assorto ma crepitante della lirica pasoliniana è stato un lavoro difficile ma assai appagante. L’eco lontana, quasi dispersa delle campane diventa proprio il centro dell’immaginazione musicale; non solo la musica le suggerisce continuamente con figure lievemente allusive ma anche la cantante e i due musicisti frequentemente le ricordano bisbigliando proprio il titolo ciant da li ciampanis come un sommesso mantra.
Un altro elemento di grande interesse e stupefazione è stato per me l’uso della soave lingua friulana, letta e decifrata quasi da straniero; ogni parola mi pareva un sortilegio, ogni sillaba un incanto.
Le ragioni della mia predilezione di questa poesia come lettore naturalmente sono le stesse di quelle del compositore, ma con in più uno struggimento lontano che forse è legato ai ricordi d’infanzia, spesso risuonanti dello scampanio di remoti campanili.
Spero di essere riuscito ad aggiungere ai versi pasoliniani l’eco di questo struggimento.
Carlo Galante
Herbarium
Il profondo legame con la natura (nel senso più lato) è evidente e lampante nella produzione poetica in lingua friulana di Pasolini. Il suo continuo citare nomi di alberi e di fiori (associandoli, in modo talora quasi ridondante, a situazioni emotive ed emozionali ben precise) mi ha spinto a dedicargli questo piccolo Herbarium, brano impostato quasi come una scena lirica, basata però su una drammaturgia tutta interiore, lievemente venata di nostalgia.
Paolo Longo
Rosade
«Oggi – quasi di colpo, in una specie di Avvento – distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere.
....
L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente
Dunque questo nuovo Potere […] è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre… Il nuovo fascismo non distingue più: non è umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo». (Da una intervista rilasciata a Furio Colombo nel 1975)
In Rosade la profondità di una lingua potente e poetica in cui si radica la forza espressiva di Pier Paolo Pasolini, si confronta con diversi stilemi che l’omologazione globalizzante visionariamente predetta dal poeta ha diffuso capillarmente nel mondo della cultura “popolare”…
Davide Pitis
In collaborazione con Fondazione Roma Tre Teatro Palladium, Comune di Udine e Associazione culturale TKE A.P.S
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